Il presente memorandum intende offrire un focus sulle principali novità apportate dalla recente Riforma della giustizia civile (D.lgs. n. 149/2022, attuativo della L. delega n. 206/2021) in tema di misure cautelari in arbitrato, evidenziandone sinteticamente i punti chiave. In particolare, verrà analizzato l’impatto della Riforma sull’arbitrato societario. Nelle conclusioni, verranno offerti alcuni spunti operativi in tema di redazione delle clausole compromissorie da inserire all’interno di contratti e statuti societari, altresì valutando gli effetti e le potenzialità delle clausole sottoscritte ante-Riforma alla luce del nuovo orizzonte normativo.
Normativa essenziale
Ante-Riforma | Post-Riforma[1] |
Art. 818 c.p.c. Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge. | Art. 818 c.p.c. Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies. Art. 818-bis c.p.c. Contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell’articolo 669-terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà all’ordine pubblico. Art. 818-ter c.p.c. L’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669-duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma. |
Art. 35, co 5, D.lgs. 5/2003 La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell’efficacia della delibera. | Art. 838-ter, co. 4, c.p.c. Salvo quanto previsto dall’articolo 818, in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete il potere di disporre, con ordinanza reclamabile ai sensi dell’articolo 818-bis, la sospensione dell’efficacia della delibera. |
[1] In base all’Art. 1, co. 15, lett. c), della Legge Delega, il legislatore delegato veniva invitato a “prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all’accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario.”
Ante-Riforma
L’Art. 818 c.p.c., nel periodo ante-Riforma, inibiva agli arbitri il potere di concedere sequestri o altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge. Tradizionalmente, si riconduceva tale divieto – non derogabile dalle parti, nemmeno mediante rinvio ad un regolamento arbitrale – alla carenza di poteri coercitivi in capo agli arbitri.[1] Dunque, nell’ipotesi di controversie oggetto di clausola compromissoria o compromesso in arbitri, ovvero di pendenza del giudizio arbitrale, la domanda cautelare doveva essere proposta al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito, ai sensi dell’Art. 669-quinquies c.p.c.
In tale contesto, l’unica eccezione era rappresentata dall’Art. 35 del D.lgs. n. 5/2003: già prima della Riforma agli arbitri veniva infatti concesso dalla legge (si veda la dicitura dell’Art. 818 c.p.c. “salva diversa disposizione di legge”) il potere di disporre la sospensione, con ordinanza non reclamabile, dell’efficacia della deliberazione assembleare di una società impugnata davanti a loro. Tale eccezionale potere veniva riconosciuto per via della natura “self-executive” dell’inibitoria (si tratta infatti di un’esecutività operante esclusivamente sul piano giuridico). Gli arbitri erano abilitati a pronunciare tale misura solamente una volta intervenuta la loro accettazione: se vi fosse stata necessità prima di questo momento, occorreva rivolgersi al giudice ordinario. In particolare, poiché la cautela tipica in questione poteva essere concessa solo a seguito dell’impugnazione della delibera assembleare, sarebbe stato possibile richiederla direttamente al giudice nell’ipotesi di procedimento arbitrale già pendente con la notifica della domanda d’arbitrato. Se, diversamente, il procedimento arbitrale non fosse stato ancora pendente, andava in ogni caso riconosciuta la possibilità di richiedere – sempre al giudice ordinario – un provvedimento d’urgenza ai sensi dell’Art. 700 c.p.c.[2]
[1] Da tale divieto non discendeva necessariamente l’impossibilità per gli arbitri di ordinare alle parti un determinato comportamento: più semplicemente, tali ordini non sarebbero stati assistiti da forza esecutiva, rimanendo allo stato di mera raccomandazione e invito (il cui inadempimento sarebbe stato valutabile come argomento di prova oppure ai fini delle spese, a seconda delle circostanze concrete).
[2] “Pur con qualche oscillazione, si era giunti a ritenere che dal momento in cui l’organo arbitrale era in grado di operare, la potestà cautelare gli appartenesse in via esclusiva; prima di tale momento, invece, ragioni anche di ordine costituzionale suggerivano di riconoscere il diritto dell’impugnante di rivolgersi al giudice ordinario, eventualmente ricorrendo alla tutela cautelare atipica, ciò determinando però l’esaurimento della potestà cautelare, che non sarebbe più potuta essere esercitata dall’arbitro” (Stefano A. Cerrato, “Note sparse su arbitrato e potere cautelare alla luce della riforma Cartabia”, in Rivista dell’Arbitrato, n.1, 2023).
Post-Riforma
La nuova versione dell’Art. 818 c.p.c. prevede oggi un potere cautelare generalizzato, non limitato a determinate misure, in capo agli arbitri (rituali)[1]: le parti, anche mediante il semplice rinvio a regolamenti arbitrali[2], possono attribuire agli arbitri[3] il potere di concedere, in via esclusiva, misure cautelari[4] con la convenzione d’arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale[5]. La Riforma ha sostanzialmente capovolto l’assetto previgente: si è infatti passati da “un’attribuzione cautelare ammessa solo dalla legge ad una generalizzata e da un potere esclusivo del giudice ad un potere parimenti esclusivo in favore degli arbitri”[6].
Tale potere esclusivo sorge dal momento della accettazione degli arbitri. Fintanto che non intervenga tale accettazione, è competente il solo giudice ordinario; del resto, sino alla accettazione dell’arbitro unico o alla costituzione del collegio arbitrale non sussiste un soggetto/organo che possa pronunciare alcun tipo di provvedimento cautelare. Dunque sebbene le parti abbiano voluto concedere agli arbitri il potere di emettere misure cautelari, in qualsiasi scenario ante causam – come anche in corso di causa unicamente nello spazio temporale fra la notifica della domanda di arbitrato (la quale determina la pendenza della lite) e quello in cui l’organo arbitrale costituito è posto in grado di decidere – la potestà cautelare rimane in capo al giudice ordinario.
Si segnala un ulteriore profilo di novità rappresentato dalla reclamabilità dei provvedimenti cautelari arbitrali[7] ai sensi dell’Art. 818-bis (diversamente dal periodo ante-Riforma, durante il quale il reclamo avverso l’ordinanza sospensiva della delibera assembleare veniva espressamente escluso): il rimedio è esperibile, a norma dell’Art. 669-terdecies c.p.c., di fronte alla corte d’appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato[8].
Occorre poi evidenziare l’avvenuto riconoscimento agli arbitri che abbiano emesso un provvedimento cautelare – in ragione del potere loro attribuito dalle parti – anche del corrispondente potere di disporre l’eventuale revoca o modifica della misura cautelare in precedenza disposta, in presenza di mutamenti nelle circostanze o di allegazione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, ai sensi dell’Art. 669-decies, co. 3, c.p.c.[9]
Infine, la Riforma ha inserito nel c.p.c. il nuovo Art. 818-ter: con esso viene disciplinata l’attuazione della misura cautelare concessa (la quale, si sottolinea, non necessita di exequatur[10], a differenza del lodo), richiamando l’applicabilità dell’Art. 669-duodecies[11] c.p.c.: la relativa attività si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata.
La Riforma ha interessato, seppur in misura minore e perlopiù con interventi di “coordinamento”, anche la disciplina dell’arbitrato societario di cui al D.lgs. 5/2003: le relative disposizioni (Artt. 34-37) sono state abrogate e trasposte con lievi modifiche all’interno del codice di procedura civile. Posto che (i) l’Art. 35, co. 5 del citato decreto legislativo attribuiva “sempre” agli arbitri il potere di sospendere l’efficacia della delibera assembleare, qualora la clausola compromissoria prevedesse la devoluzione in arbitrato delle controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere, e che (ii) tale disposizione è stata abrogata, si potrebbe supporre che nello scenario post-Riforma anche la sospensione cautelare dell’efficacia della delibera debba rispettare il requisito della manifestazione della volontà delle parti di cui al novellato Art. 818 c.p.c.
Tuttavia, come già osservato da qualcuno in dottrina, qualora fosse richiesta una espressa manifestazione di volontà affinché gli arbitri possano conservare il potere cautelare che ante-Riforma la legge gli riconosceva in via automatica, sarebbe necessario modificare di conseguenza la clausola compromissoria statutaria, il che dovrebbe aver luogo mediante la maggioranza qualificata dei due terzi del capitale sociale prevista dall’Art. 34, co. 6, d.lgs. n. 5/2003 – ora abrogato e trasposto nell’ultimo comma del nuovo art. 838-bis c.p.c. – con il rischio concreto che una minoranza potrebbe impedire l’altrui iniziativa diretta a mantenere l’originario potere degli arbitri di sospendere l’efficacia delle delibere assembleari.
Si evidenzia in ogni caso che, secondo un filone dottrinale, anche nell’ambito dell’arbitrato societario post-Riforma si deve constatare “il permanere di un potere cautelare degli arbitri che prescinde da un’esplicita attribuzione ad opera delle parti”[12]. In merito, di seguito si riporta per intero un’autorevole disamina della questione, in virtù della sua chiarezza espositiva:
“[…] maggiori dubbi suscita la lettura del quarto comma del nuovo art. 838- ter c.p.c., che dispone che «Salvo quanto previsto dall’art. 818, in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete il potere di disporre, con ordinanza reclamabile ai sensi dell’art. 818-bis, la sospensione dell’efficacia della delibera». Le differenze rispetto al testo previgente consistono dunque nell’inciso iniziale e nella abolizione di una piccola parola, densa però di significato, costituita da quell’avverbio «sempre» che prima qualificava il potere cautelare degli arbitri societari, chiarendo che a questi ultimi il potere di sospensiva spetta «sempre», cioè in ogni caso in cui una controversia sulla validità delle delibere assembleari sia deferita ad arbitrato.
La salvezza iniziale di quanto previsto dall’art. 818 c.p.c. – che è la norma che nel conferire potere cautelare agli arbitri impone che sia l’espressa volontà delle parti fonte della sua attribuzione – unitamente alla abrogazione dell’avverbio richiamato, può dunque indurre alla pericolosa conclusione che anche il potere di sospensiva societario sia oggi legato alla sua espressa attribuzione agli arbitri per opera delle parti. Si tratta però di conclusione pericolosa, in quanto nessuna clausola compromissoria statutaria esistente è ovviamente attributiva di questo potere agli arbitri, data la sua pacifica derivazione ex lege nella normativa previgente.
Questa lettura, dunque, oltre a costituire una involuzione dei poteri cautelari degli arbitri societari, costringerebbe alla modificazione degli statuti esistenti per adeguare le vecchie clausole compromissorie al nuovo dettato normativo, spostando altrimenti sul giudice ordinario tutte le richieste di sospensiva oggi assorbite dagli arbitri. Inutile dire che un’interpretazione di questo tenore va nettamente avversata, anche perché nelle intenzioni della delega la sospensiva arbitrale andava munita di reclamo come le altre misure cautelari, ma da nessuna parte emerge anche il principio che dovesse essere modificata l’attribuzione ex lege del potere cautelare già attribuito agli arbitri societari per sottoporlo alla necessaria disposizione delle parti. Anzi, a ben guardare, la legge delega nel prevedere l’attribuzione di poteri cautelari agli arbitri nelle ipotesi di espressa volontà delle parti, faceva salva la diversa disposizione di legge[[13]], col chiaro intento di fare salva proprio la disposizione societaria ora in discussione.
Proprio in ragione del potere cautelare dato agli arbitri societari nel 2003 la successiva riforma del 2006 ha modificato il testo dell’art. 818 c.p.c. attenuando il divieto assoluto previgente, con l’introduzione della specificazione «salva diversa disposizione di legge». Nella mente del legislatore delegante era dunque ben chiara la diversa regolamentazione del potere di sospensiva delle delibere sociali, che veniva fatta salva per quel caso e altri eventuali disposti poi dalla legge. La circostanza che il nuovo art. 818 c.p.c. non abbia in questo seguito la direttiva, facendo cadere l’inciso «salva diversa disposizione di legge», non può dunque significare preclusione all’attribuzione ex lege dei poteri cautelari agli arbitri, pena addirittura un contrasto con la legge delega. Leggerei dunque la disposizione in esame come a tutt’oggi attributiva ex lege del potere di sospensiva agli arbitri chiamati a decidere sulla validità di una delibera sociale, salvo quanto previsto dall’art. 818, inciso questo che va riferito all’ipotesi in cui, nonostante la misura cautelare in questione sia proponibile solo in corso di causa, il collegio arbitrale non si sia ancora costituito o l’arbitro unico non abbia ancora accettato l’incarico. Si tratta di casi in quest’ambito tutt’altro che rari, dato il meccanismo di nomina degli arbitri societari affidato di necessità a un soggetto terzo, tanto da aver legittimato una prassi che il nuovo legislatore ha voluto regolamentare.La salvezza della previsione dell’art. 818 c.p.c. ha poi anche un altro significato, quello cioè di sottoporre al regime generale le altre misure cautelari che le parti vogliano attribuire agli arbitri, ben potendo sorgere anche nelle liti societarie l’esigenza di disporre sequestri conservativi o giudiziari, soprattutto di prove o anche quella di misure di carattere anticipatorio. In questo caso, chi volesse estendere il potere cautelare degli arbitri a provvedimenti diversi da quello già regolato dall’art. 35, d.lgs. n. 5/2003 dovrebbe dunque provvedere necessariamente a modificare la clausola statutaria.”[14]
[1] Si veda la Relazione illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, p. 96: “la disciplina italiana dell’arbitrato restava di fatto isolata rispetto a quanto previsto negli ordinamenti europei che da tempo riconoscono in capo agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari e un intervento in questo ambito si pone anche nella prospettiva di rendere lo strumento arbitrale maggiormente attrattivo anche per soggetti e investitori stranieri.”
[2] “La nuova norma risponde […] in modo chiaro e affermativo al quesito lasciato aperto dalla legge delega se l’attribuzione del potere cautelare agli arbitri possa avvenire anche attraverso la scelta per un regolamento arbitrale comprensivo del potere stesso. I principali regolamenti arbitrali conferiscono infatti da tempo poteri cautelari agli arbitri, preclusi tuttavia laddove l’applicazione delle norme regolamentari trovava ostacolo in norme imperative contrarie, com’era in relazione al divieto di cui al vecchio art. 818 c.p.c. Caduto in via programmatica il veto, era dunque ovvio porsi il problema del conferimento del potere cautelare agli arbitri quando l’arbitrato sia amministrato. Il legislatore delegato ha giustamente colto il tema e lo ha risolto nell’unico modo corretto, quello cioè di esplicitare che le parti che scelgano l’arbitrato amministrato facendo riferimento a un regolamento che conferisce agli arbitri poteri cautelari, esprimono in tal modo la volontà di attribuzione del potere stesso all’organo decisorio che sarà nominato, senza che occorra ulteriore indicazione integrativa” (Laura Salvaneschi, in “Le nuove norme in materia di arbitrato”, Rivista di Diritto Processuale, n. 2, 1° aprile 2023; i grassetti sono miei). A tale riguardo, si segnala che dal 1° marzo 2023 è entrato in vigore il nuovo Regolamento della Camera Arbitrale di Milano, destinato a trovare applicazione in tutti i procedimenti instaurati da tale data (per un breve ed interessante commento in dottrina, si veda Alessio Carosi, “Il nuovo Regolamento Arbitrale della Camera Arbitrale di Milano”, in Rivista dell’Arbitrato, n. 1, 2023). Le lievi modifiche rispetto al precedente testo hanno interessato, tra l’altro, l’esercizio dei poteri cautelari da parte degli arbitri, con il preciso fine di adeguarsi alla Riforma: il novellato articolo 26 (rubricato “Misure cautelari o provvisorie”), 1° paragrafo, del Regolamento CAM recita infatti che “salvo diverso accordo delle parti, il Tribunale Arbitrale, su domanda di parte, ha il potere di adottare tutti i provvedimenti cautelari, urgenti e provvisori, anche di contenuto anticipatorio, che non siano vietati da norme inderogabili applicabili al procedimento.” Il citato articolo chiarisce dunque che il semplice rinvio al Regolamento implica l’attribuzione agli arbitri dei poteri cautelari ivi previsti, salvo che le parti non abbiano inteso escludere espressamente tali poteri, derogando al Regolamento. Degno di nota è anche il 2° paragrafo dell’Art. 26 – inserito ex novo – il quale prevede la possibilità di emettere (su istanza di parte) provvedimenti cautelari inaudita altera parte, se dalla convocazione della controparte possa “derivare grave pregiudizio alle ragioni dell’istante”. Ad abundantiam, per un’approfondita analisi della nuova versione del Regolamento CAM, si veda Marco Farina, “Il nuovo Regolamento della Camera Arbitrale di Milano all’alba dell’entrata in vigore delle norme in tema di poteri cautelari degli arbitri”, sempre in Rivista dell’Arbitrato, n. 1, 2023.
[3] Si tratta dunque di un meccanismo opt-in.
[4] Le parti, nell’esercizio della propria autonomia, potranno anche scegliere di affidare agli arbitri il potere di emettere solamente determinati provvedimenti cautelari e non altri. In tale circostanza, i provvedimenti non attribuiti agli arbitri rimarranno di competenza del giudice ordinario.
[5] L’espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri da parte dei compromittenti rappresenta un requisito sostanzialmente sconosciuto alle leggi straniere sull’arbitrato, che tendono infatti a seguire il principio contrario: i poteri cautelari degli arbitri costituiscono la regola – vengono infatti riconosciuti ai giudici privati in via automatica) – mentre l’espressa esclusione ad opera delle parti rappresenta l’eccezione (si veda ad esempio l’Art 183, co. 1, della legge svizzera di diritto internazionale privato: “Salvo diversa pattuizione delle parti, il tribunale arbitrale può, ad istanza di parte, ordinare provvedimenti cautelari o conservativi”). Ulteriore elemento di differenza rispetto alla grande maggioranza delle moderne legislazioni in materia di arbitrato e dei più recenti regolamenti arbitrali, è rappresentato dall’esclusione del potere concorrente dell’autorità giudiziaria a partire dal momento dell’accettazione del mandato da parte degli arbitri: di regola, le leggi nazionali assicurano infatti una “doppia via”, lasciando la parte libera di scegliere se rivolgersi all’arbitro o al giudice (il legislatore della Riforma ha invece preferito evitare “pericolose sovrapposizioni e duplicazioni di tutela” – p. 97 della citata Relazione).
[6] Luca Conte, “La tutela cautelare in arbitrato: le principali novità della Riforma”, su giustiziacivile.com, articolo del 23 novembre 2022.Vengono tuttavia identificate alcune possibili ipotesi di competenza concorrente da parte di Andrea Carlevaris, “Competenza cautelare esclusiva degli arbitri e autonomia privata”, in Rivista dell’Arbitrato, n. 1, 2023.
[7] Ovviamente, indipendentemente dall’esito della domanda cautelare rivolta agli arbitri, sia essa stata accolta o rigettata.
[8] Il reclamo è ammesso “per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà all’ordine pubblico”: di conseguenza la corte d’appello non potrà mai entrare nel merito della decisione degli arbitri. Tenendo anche conto del fatto che appare remota la possibilità che la decisione arbitrale presenti i vizi di cui al primo comma dell’art. 829 o finisca per violare l’ordine pubblico, non si può fare a meno di notare che l’esercizio della potestà cautelare da parte degli arbitri potrà difficilmente risultare, nella pratica, censurabile.
[9] Art. 669-decies, co. 3, c.p.c.: “Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti[di revoca e modifica] previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma.”
[10] Secondo Salvaneschi, op.cit., “la parte che ottenga un provvedimento cautelare arbitrale favorevole può dunque presentarsi all’ufficiale giudiziario esibendo come titolo il provvedimento sottoscritto dagli arbitri, come avviene quando l’avente diritto chiede l’esecuzione di un accordo formato in sede di negoziazione assistita o di mediazione, oppure procedere sulla base del medesimo provvedimento all’esecuzione delle diverse misure cautelari previste dall’ordinamento.”
[11] Art. 669-duodecies c.p.c.: “Salvo quanto disposto dagli articoli 677 e seguenti in ordine ai sequestri, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito.”
[12] Bove, “Riforma Cartabia: il nuovo processo civile (I parte) – La riforma dell’arbitrato”, Giurisprudenza Italiana, n. 2, 1° febbraio 2023. Contra, si veda Cerrato, op. cit.: “pur con qualche esitazione, sono propenso a ritenere che in materia di deliberazioni societarie il legislatore abbia fatto un “passo indietro” rispetto al regime previgente, assoggettando anche il potere di sospensiva alla generale regola della previa manifestazione di volontà delle parti.” Tuttavia l’autore, con riferimento alle clausole statutarie preesistenti attivate dal 1° marzo 2023, ritiene che il potere di sospensiva “permanga nonostante la clausola non ne faccia espressa menzione”: infatti, “la circostanza che fino al 28 febbraio 2023 l’art 35 attribuisse ex lege agli arbitri il potere di sospendere l’efficacia della deliberazione qualora la clausola arbitrale si estendesse a tali controversie fa ritenere che l’eventuale silenzio serbato dai soci debba interpretarsi come consapevole accettazione dell’esistenza di tale potere coessenziale all’esercizio del munus arbitrale.”
[13] Si veda la nota n. 1 del presente memorandum.
[14] Salvaneschi, op.cit. I grassetti e le sottolineature sono miei.
Conclusioni
Alla luce di quanto esposto nel presente memorandum, pur tenendo conto che la giurisprudenza deve ancora esprimersi compiutamente sull’impatto delle novità sopra analizzate, oltre al fatto che il dibattito dottrinale in materia è ancora vivo e potenzialmente foriero di ulteriori spunti ed approfondimenti, possono allo stato trarsi le seguenti conclusioni “operative” con riguardo al panorama post-Riforma:
- convenzione arbitrale (non statutaria) che prevede un arbitrato ad hoc, non contenente alcuna espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri: gli arbitri non potranno concedere provvedimenti cautelari, la cui emissione rimarrà di esclusiva competenza dei giudici statuali;
- convenzione arbitrale (non statutaria) che prevede un arbitrato amministrato, non contenente alcuna espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri: si tratta di una convenzione arbitrale idonea, alla luce del novellato Art. 818 c.p.c., a concedere agli arbitri il potere di emettere misure cautelari[1] (si ricordi la nuova dicitura “anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali”, contenuta nel suddetto articolo), ovviamente se ed in quanto il regolamento arbitrale disciplina tale potere.
Tuttavia, con riferimento alle convenzioni arbitrali redatte e sottoscritte nel contesto ante-Riforma, appare difficile oggi intendere il rinvio ad un regolamento arbitrale (che preveda il potere cautelare in capo ai giudici privati) come espressivo della volontà delle parti di conferire agli arbitri poteri cautelari[2]: infatti, mediante il rinvio ad un regolamento effettuato nel diverso contesto ante-Riforma, durante la vigenza del “vecchio” Art. 818, le parti non intendevano – né del resto avrebbero potuto – conferire agli arbitri il potere di emettere misure cautelari. A mio avviso bisognerebbe dunque evitare rischiosi formalismi: le parti, o anche solo una di esse, potrebbero rimanere ferme nel non voler conferire il nuovo potere cautelare agli arbitri pur a seguito dell’intervenuta Riforma. Pertanto, leggere il rinvio al regolamento come attributivo di tale potere permetterebbe ad una parte di “attaccare” la controparte con un’arma al cui utilizzo quest’ultima non ha mai acconsentito[3].
Diversamente, con riguardo ai patti arbitrali redatti e sottoscritti post-Riforma, l’Art. 818 c.p.c. è chiaro, apparentemente escludendo ogni dubbio: il rinvio a regolamenti arbitrali, che prevedano che gli arbitri possano emettere provvedimenti cautelari, rappresenta una valida modalità per attribuire tale potere. Infatti, nel contesto post-Riforma ci si trova pur sempre di fronte a parti che – più o meno consapevolmente – redigono e sottoscrivono la convenzione arbitrale alla luce del nuovo Art. 818 c.p.c., non sussistendo più il previgente divieto.
Ritengo in ogni caso prudente prevedere espressamente l’esclusione o l’attribuzione dei poteri cautelari in capo agli arbitri, per eliminare qualsiasi dubbio in merito alla volontà delle parti a tale riguardo.
- convenzione arbitrale (non statutaria) che prevede un arbitrato ad hoc o amministrato, contenente un’espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri: gli arbitri potranno concedere provvedimenti cautelari.
- clausola compromissoria statutaria, non contenente alcuna espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri: gli arbitri non potranno concedere provvedimenti cautelari, la cui emissione rimarrà di esclusiva competenza dei giudici statuali. In via eccezionale, alla luce del ragionamento sopra esposto, in capo ad essi permane – anche in assenza di espressa attribuzione delle parti – il (solo) potere di sospendere gli effetti della deliberazione assembleare della società impugnata davanti a loro, “in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari”[4].
Ritengo in ogni caso prudente prevedere espressamente l’attribuzione di tale potere di sospensiva in capo agli arbitri, per eliminare qualsiasi dubbio in merito alla volontà delle parti a tale riguardo.
- clausola compromissoria statutaria, contenente un’espressa attribuzione dei poteri cautelari agli arbitri: gli arbitri potranno concedere anche i provvedimenti cautelari diversi rispetto all’ordinanza sospensiva della delibera assembleare. Infatti, come sopra esposto, mediante l’espressa attribuzione del potere cautelare agli arbitri è possibile “estendere” tale potere a provvedimenti diversi da quello già regolato dall’abrogato Art. 35, D.lgs. n. 5/2003.
[1] Come nota una certa dottrina (Antonio Briguglio, “Il potere cautelare degli arbitri, introdotto dalla riforma del rito civile, e la inevitabile interferenza del giudice (‘evviva il cautelare arbitrale!’, ma le cose non sono poi così semplici)”, https://www.judicium.it/wp-content/uploads/2023/01/Briguglio-1.pdf), non sembrano esservi ragioni “per ritenere che il potere cautelare arbitrale sussista solo se conferito da una convenzione arbitrale o patto separato successivi alla entrata in vigore del nuovo Art. 818, c. 1, e non anche da una convenzione precedente (l’ipotesi di una convenzione precedente alla modifica dell’Art. 818 e però attributiva di poteri cautelari agli arbitri è ovviamente plausibile ponendo mente alla possibile relatio a regolamenti arbitrali). L’Art. 818, c. 1, infatti – pur coinvolgendo indirettamente anche la efficacia della convenzione arbitrale – non è diposizione sulla convenzione arbitrale, bensì disposizione schiettamente processuale e non vi è dunque alcun motivo per postulare deroghe implicite, oltretutto difficilmente giustificabili anche in astratto, alla generale disposizione transitoria ex art. 35, c. 1 del DLGS [secondo cui ‘le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti’].” I grassetti sono miei. Si veda anche Farina, op. cit.: “Sembrerebbe, quindi ed in via di prima approssimazione, doversi concludere nel senso che, pur se la convenzione d’arbitrato contenente il rinvio al Regolamento sia stata conclusa prima del 1° marzo 2023, agli arbitri, diciamo così (per semplicità), italiani spetterà comunque il potere di emettere provvedimenti cautelari a condizione, però, che il procedimento sia iniziato a decorrere dal 1° marzo 2023.”
[2] Farina, op. cit., scrivendo a proposito dell’Art. 26 del Regolamento CAM citato alla Nota n. 4, afferma quanto segue: “un qualche argomento contrario alla possibilità di fare applicazione dell’art. 26 rispetto a procedimenti arbitrali (comunque) iniziati a decorrere dal 1° marzo 2023 ma in forza di convenzioni di arbitrato (contenenti un rinvio al Regolamento) stipulate anteriormente, potrebbe farsi derivare dall’osservazione per cui il fondamento del potere cautelare degli arbitri riposa, secondo quanto previsto dal nuovo articolo 818 c.p.c., sulla «espressa volontà delle parti» [Art. 1, co. 15, lett. c), della Legge Delega]. Si potrebbe, allora, essere, non del tutto irragionevolmente, indotti a ritenere che, allorché le parti abbiano fatto rinvio al Regolamento prima dell’entrata in vigore della nuova formulazione dell’art. 818 c.p.c., non possano in tal modo aver manifestato la loro «espressa volontà» di attribuire agli arbitri il potere cautelare ma, al contrario, abbiano considerato tale rinvio per definizione incapace, in ragione dell’inderogabile divieto al tempo vigente e che funzionava (appunto) come limite (inderogabile) all’operare dell’art. 26, primo comma, del Regolamento quando la lex arbitri era quella italiana, a conferire agli arbitri (e, di conseguenza, a sottrarre all’autorità giudiziaria ordinaria) il potere di concedere misure cautelari. […] L’art. 818 c.p.c., nella sua rinnovata formulazione […] produce effetto solo a decorrere dal 28 febbraio 2023, con la conseguenza per cui – si potrebbe non implausibilmente osservare – è solo a decorrere da questa data che la espressa volontà delle parti può avere, appunto, l’effetto di attribuire agli arbitri poteri cautelari”. Pertanto, “diventa difficile ritenere, sic et simpliciter, che le parti, in una convenzione arbitrale conclusa prima dell’entrata in vigore della nuova norma, abbiano, così, potuto validamente esprimere una loro (espressa) volontà diretta ad attribuire agli arbitri poteri cautelari.” Sul tema si veda anche Cerrato, op. cit.: “la questione è a mio avviso complessa e deve essere affrontata muovendo dalla indiscussa natura negoziale della convenzione di arbitrato, alla cui interpretazione debbono essere applicati gli ordinari canoni dell’ermeneutica dei contratti (artt. 1362 ss. cod. civ.), tenendo conto della legge vigente al momento in cui essa fu stipulata, come hanno da non troppo tempo statuito le Sezioni Unite della Cassazione risolvendo la nota problematica della applicabilità del divieto di impugnazione per errores in iudicando imposto, salva diversa volontà delle parti o della legge, dall’art 829 riformato nel 2006 [il riferimento è alle sentenze Cass. n. 9341 del 2016, n. 9285 del 2016 e n. 9284 del 2016] […] Escluderei pertanto, in linea di massima, che possano ritenersi attribuiti i nuovi poteri cautelari ad arbitri nominati in virtù di convenzioni preesistenti alla riforma in difetto di un espresso accordo delle parti, alle condizioni prescritte dall’articolo 818, anche quando l’arbitrato sia amministrato da un organismo il cui regolamento sia stato nel frattempo adeguato alla nuova disposizione.”
[3] Secondo Cerrato, op.cit., “a parziale contrappeso, può però dirsi che il rischio pare tuttavia modesto, tenuto conto che i principali regolamenti di camere arbitrali impegnano le parti ad applicare le regole vigenti al momento dell’instaurazione del giudizio, salvo diversa previsione nella convenzione, con ciò dunque legittimando l’ingresso in arbitrato delle eventuali nuove disposizioni che, sfruttando lo spazio aperto dalla legge all’autonomia privata, affidino agli arbitri la potestà cautelare.”
[4] Art. 838-ter, co. 4, c.p.c.
Dott. Michele Franceschetto
Praticante avvocato
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